Francesco Perri e “L'amante di Zia Amalietta” di Aldo Capasso



Aldo Capasso

Francesco Perri raggiunse la fama nel 1927, quando il suo primo romanzo Emigranti conseguì il Premio Mondadori, assegnato da quella «Accademia Mondadori» dove sedevano tutti letterati di grande ingegno, dove primeggiavano due figure geniali come Giuseppe Antonio Borgese e Alfredo Panzini, dove non era stato accolto alcun patrono del Decadentismo. Fu il Borgese a scrivere, con la meritata lode, di Emigranti, nel Corriere della Sera; e il Times e il Journal des Débats facevano coro. (Bei tempi!: più tardi l'Accademia Mondadori sparirà, e la stessa Casa Editrice diverrà un po' il refugium di tutto il Decadentismo italiano.) Il romanzo, ispirato dalla povertà e dal dolore della terra natia, si ricollegava a quella scuola «verghiana» che aveva già dato all'Italia parecchi capolavori (I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo, Dal tuo al mio, Il marchese di Roccaverdina, I Viceré), con una maturità assolutamente eccezionale in un giovane che quasi tutti credevano un esordiente. (In realtà egli aveva scritto, prima, un altro romanzo, di cui non erano uscite che alcune puntate). Sarebbe errato attribuire soltanto agli eventi politici le contrastate fortune che anche il Perri, come altri scrittori di grande valore, dovette registrare poi. Certo, fu il regime politico del tempo ad impedire la pubblicazione in volume, allora, del romanzo «sociale» I conquistatori (come s'è accennato, il primo romanzo del Perri: ch'era cominciato ad apparire a puntate nella Voce Repubblicana, negli ultimissimi tempi di questo giornale, poi soppresso dal fascismo ); ma è pur vero che non fu impedita la pubblicazione del terzo romanzo, non sociale ma «filosofico», Il discepolo ignoto, nel 1940. E I conquistatori (romanzo delle lotte agrarie nella Pianura Padana ) poté vedere la luce nel 1946, in una temperie politica mutata e capovolta, quando, per vero dire, parecchie nullità, non degne nemmeno di avvicinarsi al Perri, facevano fortuna vantando, si sa, un passato antifascista.

Si dirà (e dice, infatti, il nuovo Editore del Nostro) che, in seguito agli eventi politici, la popolazione dei lettori, ormai, ignorava, quasi, il nome del Perri. Ma Il discepolo ignoto, romanzo storico veramente grandioso, tra il '40 e il '44, nonostante la guerra, era giunto alla quinta edizione. Verso questo libro, le colpe erano dei letterati piuttosto che del pubblico, dunque. Ciò che era via via mutato in peggio, era proprio la situazione del mondo letterario. Uno scrittore sostanzioso, austero, privo di cerebralismo e di arzigogoli, come il Perri, che poteva contare sul ragionato entusiasmo dell'«Accademia Mondadori» al tempo in cui il Princeps della critica italiana si chiamava Giuseppe Antonio Borgese, si doveva poi imbattere in ben altri ostacoli - nonostante il favore del pubblico - tra il '40 e il '44, quando passavano per grandi critici un De Robertis o un Bo. E anche dopo il '45, anche quando il '46 vide l'edizione procrastinatissima de I conquistatori, anche oggi, troppo dura l'eredità della dittatura decadentistica che sappiamo. Tanta gente, che ha scambiato La terra promessa di Ungaretti per un capolavoro, era perfettamente logico che non badasse al Discepolo ignoto, o, se qualche notizia ne aveva, non vedesse in un tale vasto romanzo storico se non una imitazione, tardiva, di modelli ottocenteschi.

Oggi, che la rivolta contro surrealismi, ermetismi, decadentismi in genere, si va accentuando, è il tempo di rendere a Francesco Perri il debito onore; e riconoscere che l'affresco, irto di figure, del Discepolo Ignoto, non nasceva da più o meno intempestivi assunti letterari di resuscitare le forme dell'800, ma da meditazione appassionata, da sofferenza genuina, da intenso calore umano. Il discepolo ignoto, a nostro avviso, non era ancora un'opera perfetta: ma era certamente l'opera di un narratore nato, di un grande narratore. Nell'insieme, il libro é un potente quadro di un'epoca in profonda crisi spirituale, scontenta di sé, oscuramente avida di un rinnovamento ab imis, che la salvi. Ci sono, - a nostro avviso, - due o tre sbalzi psicologici seri; come se il Perri, psicologo sapiente senza dubbio, avesse un po' troppo sforzato se stesso a aderire a un disegno prestabilito per adeguarsi, in senso affermativo, alla Weltanschauung cristiana: dato il tema dominato dall'irraggiamento della figura eccelsa di Gesù. Ma tutto ciò che è partecipe, cordiale, umana indagine delle incertezze, dei dubbi, delle angosce di un'epoca in crisi, é realizzatissimo.

Quando per la prima volta leggemmo Il discepolo ignoto (Garzanti), si affacciò in noi il pensiero che, nonostante quanto il Perri medesimo aveva creduto per tanti anni, il «motivo» su tutti dominante, nell'animo suo, non fosse il pur grandissimo, amore di serena e democratica libertà - così sensibile nell'opera acerba ma robusta de I conquistatori, e fonte di tante sue personali disavventure sotto il fascismo - e nemmeno la, pur grandissima, pietà per gli umili, onde nacque, nel solco verghiano, la forte opera di Emigranti, ma il fatale contrasto della sua nobile tempra, sana esteticamente e sana moralmente, con i fermenti di decadenza onde é ricolma un'epoca quale l'attuale.

Oggi Francesco Perri ha pubblicato il suo nuovo romanzo, L'amante di zia Amalietta (ed. Ceschina), che noi consideriamo perfetto e senza macchia, che noi consideriamo il suo indiscutibile capolavoro, e il pensiero di allora ci ritorna nella convinzione di avere intuito giusto.

Il romanzo si svolge nella primavera del '40, subito prima della dichiarazione di guerra, e si conclude quando la guerra comincia. Il Perri d'un tempo, zòon politicòn al cento per cento, si sarebbe buttato tutto ad indagine politica, ed avrebbe combattuta un'ennesima battaglia contro il fascismo; invece, gli accenni politici qui sono in numero limitato, e non hanno che una collocazione di sfondo. Anzi, il Perri, a una certa pagina, mostra chiaramente di ammettere - pur essendo sempre lo stesso intransigente nemico delle dittature - che le responsabilità del dittatore erano limitate da quelle del popolo intero : il quale a un certo punto, fatte le solite ammirabili eccezioni, era contento di scaricare su un dittatore le cure della vita pubblica, e non pensarci più: ed aveva il governo che desiderava, né più né meno. Il regime politico, dunque, non figura fra le cause del generale sconcerto che domina i numerosi personaggi del romanzo: non é, esso stesso, che un effetto. La crisi é morale, filosofica, religiosa ; e il Perri non pretende (come pareva - almeno pareva - nella temperie cristiana del Discepolo ignoto) di additarne un rimedio, una soluzione valida per tutti : si limita a dipingerla con pietà e con affettuosa accoratezza : e, così, fa opera veramente artistica, tutta artistica, senza entrare in alcun conflitto con sé medesimo.



Felicemente il Perri ha concepito di portare in scena, all'inizio, quattro giovanotti, che vivono nella stessa pensione e sono diventati quasi inseparabili, - quattro studenti di medicina. Dopo un paio d'anni essi si ritrovano tutti nella stessa città - Milano -; uno di essi, Ameduri, s'e fidanzato, e nel corso del romanzo si sposa. Il fratello e il cugino della ragazza ch'egli sposa - Liuccia - sono dunque amici prima, e parenti poi, del giovane Ameduri: e sono anche, da ultimo, gli assassini di un altro dei quattro, Fregata. Così si crea, al centro del libro, un folto gruppo di «giovani 1940», che tutti interessano il lettore e le cui vicende sono insieme intrecciate. Ciascuno di essi ha parenti più anziani, i genitori di Ameduri (gente all'antica, che soffre dei contatti tra il figlio ed un mondo equivoco, moralmente discutibile), quelli di Liuccia e Geo (che sono viva parte del mondo tarato, e ci stanno benone), la zia di Liuccia e Geo, Amalietta (che è anche l'amante di Fregata e la madre di Pierino), la madre del quarto membro del gruppo iniziale, Sciplini, che é anche amicissima della madre di Ameduri. In tal modo il Perri riesce a portare in scena un numero grandissimo di personaggi, senza dare la minima impressione di slegatezza. Questa architettura si conviene pienamente ad un libro dove tutti sono protagonisti, e nessuno é protagonista. Amalietta, Fregata, Ameduri, Pierino il figlio di Amalietta e cugino di Liuccia, anche Geo il fratello di Liuccia, vengono a volta a volta in primo piano, poi se ne allontanano e poi vi si ritrovano. Perché protagonista é tutta quella gente insieme, la società borghese - o, se volete, la società colta - di una grande città italiana del 1940.

Colui che racconta - e che, per conto proprio, poco agisce, ma all'azione altrui assiste con caldo interessamento-, il giovane Cametra, é il portavoce dell'elevato senso morale dell'Autore, e non esita a chiamare canagliate le canagliate, mentre fortemente simpatizza con gli onesti, intemerati anziani, quali i genitori di Ameduri. Ma di fronte agli altrui problemi e drammi, non tenta mai un intervento benefico; perché, evidentemente, ne ha compreso già in partenza tutta l'inutilità.

Non si fa, dunque, illusioni sulla potenza della buona volontà, fra gli uomini del suo tempo. Ed ha un concetto, del cosmo, abbastanza triste. «Per me la vita é un'evasione, una pausa serena, una fuga temporanea dal turbinare vertiginoso della materia universale, e forse l'orrore che noi tutti proviamo della morte, vien dalla paura istintiva di ritornare nel circolo della forza indistinta, cieca, agitata da chi sa quali potenze misteriose in perpetua convulsione. Solo vista così la vita potrebbe avere un senso e potrebbe considerarsi un bene inestimabile.» Non ha nulla dell'isterico o dell'ipocondriaco, il buon Cametra, e tenta di farsi una concezione positiva : un «bene inestimabile», la vita, così gli piacerebbe poter giudicare!

Ma é già troppo lontano dalla religiosa fede della madre di Ameduri o della madre di Sciplini ; e nella sua concezione la morte appare in una luce talmente angosciosa, che anche la vita non può non perdere valore. Se un turbinare vertiginoso, convulso ed irrazionale, é prima della nascita ed é dopo la morte, è la natura stessa delle cose, - la «evasione» costituita dalla vita individuale appare terribilmente breve, destinata com'é, dopo un limitato giro di anni, a riperdere la sua individualità la sua consapevolezza in quel cieco tumulto di sempre. Chi dura a lungo é la «morte», non la vita !

Con questa triste filosofia in cuore, e in mezzo ad un mondo così spesso bacato, Cametra ha una specie di ammirazione per il compagno e coetaneo Fregata, che vive di espedienti ed irride, quasi, a tutto, ma é sincero e ligio alla verità. Quel Fregata che ha pur tanti difetti, gli appare ancora un abbastanza lodevole esemplare umano, in mezzo a quel mondo irto di menzogne.

Fregata é uno dei personaggi più ampiamente studiati e più scolpiti. E'un gran giocatore di carte proprio perché sempre lucido e calmo, e vive dei proventi del gioco. Ha avuto innumerevoli donne, e le ha sempre abbandonate rapidamente. Ha offeso innumerevoli persone, si diverte a sferzare il prossimo. V'e in lui una estrema lucidezza mentale, e a questo dono si collega quella che é la sua qualità morale positiva: il disprezzo dell'ipocrisia. Dei tanti che lo biasimano, egli é, in definitiva, il più delle volte, migliore, perché coloro cercano il piacere non meno di lui, si fanno ancor meno scrupoli, e ammantano il tutto della più nauseante ipocrisia.

La filosofia di Fregata é forse ancor più triste che quella di Cametra : la vita individuale si stacca per un attimo, come la goccia volante si stacca dal mare, poi ricade nel mare, sua sede naturale. In altre parole, la indistinta vita cosmica, a cui si ritorna, dopo un brevissimo stacco, con la fine della vita individuale, é il nostro stato vero; la vita é una parentesi trascurabile, la vera patria é la moda, l'assenza dell'io... - Fregata usa le donne come gradevoli oppiacei, e si augura ardentemente di morire presto: prima della vecchiaia. Quando verrà assassinato nel giro di un attimo, in piena gioventù e prestanza

fisica, il lettore non può non pensare ch'egli é stato felicemente esaudito, ed averne più invidia che

pietà. L'autore lo considera con una certa dose di simpatia, ed almeno altrettanta simpatia ha per la «zia Amalietta», la quale s'era, da giovanissima, prostituita a un potente Industriale-senatore, diventandone la mantenuta a perpetuità, per fare il bene della sua poverissima famiglia. Il padre suo era contentissimo così, chissà che un qualsiasi legame col Senatore non gli apparisse, oltre che occasione di lucro, una vera e propria nobilitazione. Essa era libera, non aveva obblighi verso nessuno ; a nessuno, allora, le pareva di far torto, di far male : e soltanto far bene ai suoi. (S'era sposata molto più tardi, per volontà del Senatore, con un ingegnere dipendente del Senatore : il marito sapeva quel che si faceva, ed aveva scientemente voluto i vantaggi materiali che derivavano da quella situazione.) Essa, sino all'epoca del romanzo, per lunghi anni non aveva conosciuto l'amore, posseduto il senso concreto di ciò che questa parola significhi ; la sua gioia era stata quella di regalare denaro, a piene mani, ai parenti, a tutti i parenti. Gioia di qualità buona e generosa. E verso il vecchio Senatore, se non nutre amore, ha sentimenti di sincero affetto, di tenera gratitudine (egli con lei é sempre stato molto buono), sentimenti quasi filiali ; dargli un po' di gioia non é un sacrificio. Né mai le é venuto in mente che il figlio suo, Pierino, possa un giorno apprendere d'essere figlio non dell'Ingegnere ma del Senatore, e, di conseguenza, soffrirne.

Nonostante la sua irregolarissima condizione, Amalietta è una donna ricca di molti sentimenti sani e normali (vuol moltissimo bene, si capisce, al figlio Pierino) ; quando finalmente incontra Fregata, e se ne invaghisce, palesa la donna vera che era in potenza, che poteva essere; tenera, dolce, quasi innocente, con le delicatezze di una giovane sposa. E' il grande amore, e non dura che tre mesi, perché subito Fregata le viene assassinato. Non solo; viene assassinato dal figlio di lei, Pierino, ed essa - invecchiando di colpo - lo capisce, e non trova di meglio che fingere d'ignorarlo. Continua ad amare il figlio, e lo risparmia come può (per salvarlo dalla polizia, proprio essa respingerà nel fondo il cadavere tornato a galla, in una scena d'allucinante orrore: il cadavere dell'uomo amatissimo!); ma per sempre l'atroce segreto non detto sarà fra Pierino e lei. Il castigo ci appare ben più grave di tutte le colpe che le siano imputabili... Ed Amalietta é abbastanza intelligente per capire - ora - che furono i suoi atti antichi, quelli che allora le parvero soltanto benefici per tutta la sua famiglia, a porre Pierino in rischi così crudeli, farlo quasi impazzire nell'apprendere la vera vita di sua madre.

I «contenutisti» del 1930 sostenevano che gli atteggiamenti del Romanziere verso i suoi propri personaggi dovessero esprimere un giudizio morale, le sfumature di un chiaro giudizio morale. Ciò non é vero per tutti i romanzieri (data la differenza tra «etica spontanea» ed «etica riflessa», che illuminammo altra volta) ; ma l'affermazione diventa calzantissima per quei romanzieri, come il Manzoni, presso cui la «etica spontanea, e la «etica riflessa» riescano pienamente e felicemente a coincidere. Questo é anche il caso - ora - del Perri. E lo speciale sentimento ch'egli ha, ed esprime, verso Amalietta, - contenente simpatia, e pietà grande, ma anche quel senso, netto, che la condanna atroce essa se l'era creata da sé, - corrisponde in effetti ad una specialissima sfumatura del suo giudizio morale: sano egli vede il suo amore (é il primo amore!) per Fregata, sano il suo perenne impulso di aiutare i parenti, sana anche la sua affettuosa gratitudine pel Senatore, ma essa non avrebbe dovuto accettare con tanta naturalezza, e quasi passività, i compromessi che altri le suggeriva : amante del Senatore, moglie dell'Ingegnere, con un figlio che porta un cognome non suo. Ma, ripetiamo, questo «giudizio morale» questa «etica riflessa», é anche, ipso facto, etica spontanea, sentimento naturale e quasi si direbbe istintivo; è il sentimento del Creatore verso il suo personaggio ha via via infinite sfumature, più e men calde, più e men dolenti, secondo le occasioni e gli atti, con quella molteplicità che'é della vita, e che le classificazioni razionali non potrebbero mai emulare. Il figlio di Amalietta, Pierino, è un- buon ragazzo ignaro e candido: diverrà l'assassino di Fregata perché il cugino Geo - per basse considerazioni d'interesse - ve lo costringerà, psicologicamente, con arte sopraffina. Pierino si sente rivelare d'un tratto le due tresche della madre, che ignorava del pari, ed è profondamente colpito, sia nell'amore grandissimo ch'egli portava alla madre (la vede improvvisamente insozzata infangata, mentre l'aveva sempre considerata la più buona e immacolata delle creature), sia nella necessaria fiducia in sè : apprende, di colpo, che tutta Milano sa della sua origine adulterina e ciancia dei fatti suoi con la consueta mancanza di compassione. Tremendo choc. Ed è facile spingerlo a odiare Fregata, che aveva fama d'essere sempre stato spietato con le donne.

Nella sua disperazione, Pierino impara a disprezzare sé, e gli uomini che hanno sempre tanto riverito il denaro di Amalietta. - Lo comprendiamo anche quando giunge a pensare che bisogna evitare uno scandalo e salvare il denaro, perché, finché egli avrà il denaro, costringerà gli uomini a inchinarglisi e non osare di morderlo, checché sappiano sulle origini del denaro stesso. Non é calcolo freddo, ma difesa disperata. (E, in questo suo aspetto, Pierino vede realisticamente la società contemporanea, la vede proprio com'essa é: essa, e il suo troppo riverire il denaro! : e che essa debba suscitargli tali timori, suggerirgli tale modo di difendersi, è cosa che la condanna.)

Atroce poi é la sofferenza di Pierino, quando comprende che sua madre sa : ciò precisa in lui la presenza - comunque inevitabile - del rimorso: ed egli chiederà alla guerra la espiazione, probabilmente la morte. Tranne Geo, che vorrebbe essere un Machiavelli e porta abilmente Pierino all'omicidio (ma, interrogato dalla polizia, non sarà più un Machiavelli: si farà sospettare scioccamente, negando anche circostanze note!), gli altri personaggi principali non sono mai totalmente cattivi. Non cattivo il giovane Ameduri, che addolora i genitori con una grossa bugia per poter sposare subito la sua Liuccia (dice che essa é incinta), ma infine non aspira che alla normale gioia di vivere con la ragazza amata, e non può prevedere gli ulteriori colpi che (essendo Geo fratello di Liuccia) raggiungeranno suo padre e ne causeranno la morte. Anche per Ameduri, il castigo sarà ben superiore alla colpa: si sentirà, esagerando non poco, il responsabile della morte paterna, e, per di più, il suo matrimonio è fallito. Liuccia, per vero dire, non lo ha sposato per interesse, ché poteva trovare eccellenti partiti nella élite milanese. Ma i loro rapporti coniugali sono subito rovinati dalla mancanza di armonia sensuale fra loro: Ameduri è ardente, e Liuccia invece, nell'amplesso, non prova nulla. Bisogna aggiungere che la madre di Ameduri, dopo la morte del marito, sembra presa da una pazzia tranquilla, - immedicabile. (Si nota che il solo Geo non è colpito dalle conseguenze del suo atto. I migliori - Amalietta, Pierino, Ameduri, tutta gente di buon fondo, pur se guastati, poi, in parte, dalla società in cui essi vivono, e che li abitua ai propri modi di giudicare - sono punitissimi; Geo e la sua amante, che sono i peggiori, no. Così è cieca anche la sorte).

Non sarebbe da definire cattiva nemmeno Liuccia (anzi sanissima e normalissima parrà, in confronto del buio Geo suo fratello), il cui gesto più riprovevole é di offrirsi al fidanzato per affrettare le nozze, e di voler affrettare le nozze per essere sicura di non perdere una certa dote. Ma essa vive in un mondo dove nessuno sente più il matrimonio come un «sacramento». Darsi al fidanzato poco prima del matrimonio, con la certezza che il matrimonio seguirà, non può apparire cosa di gran momento, in quel mondo, - se il matrimonio non vi é più che un contratto tutto umano. Questa colpa é ben più dell'ambiente che della persona. (Non si vorrà fare a Liuccia una colpa dell'essere frigida. Anzi, se non la guida l'effimero calore del desiderio sensuale, tanto più parrà autentica la simpatia che l'aveva portata verso Ameduri... Ma questi, certamente, non ha la profondità d'animo e l'esperienza umana necessarie per intendere che possa esserci un amore fuori dei consueti amplessi, riconoscerlo dolce ed accettarlo, serenamente, anche così). Non è cattivo, infine, Sciplini, che per voler farsi gesuita lasciava sola la madre e la faceva tanto soffrire, dimenticando proprio i doveri maggiori : egli, avvezzo ai più gravi dubbi filosofici, cercava disperatamente di risolverli tutto d'un colpo, accettando, nella Compagnia di Gesù, non soltanto una religione, ma una disciplina di ferro. Probabilmente finirà con l'arrestarsi in tempo, chè la madre si sa difendere, e in lui, invece, resistono troppe dubbiezze malamente sopite... Ci sono molti altri personaggi persuasivi, compreso il gesuita Padre Mosca, comprese le figurine disegnate con pochi tocchi rapidi e poi reimmerse nello sfondo. Impossibile, qui, analizzarli partitamente. Ciò che ora si voleva mostrare, é che il Romanziere si rende conto pienamente delle vere debolezze dell'epoca rappresentata, e le coglie con realismo preciso; conscio che un'epoca cattiva non è un'epoca fatta tutta di cattivi, ma un'epoca che conduce le nature mediane, e spesso anche le buone, a gesti cattivi, che sembrano, in quel tempo e clima, normali e naturalissimi. Il Perri ha scritto un libro perfettamente vivo, - uno dei più bei romanzi italiani di questo secolo, - perché in lui la pietà umana ha prevalso sulle ire del moralista e dello scrittore politico, - perché, di fronte ai tanti problemi sollevati dallo spettacolo di un'epoca in crisi, ha rinunciato alle soluzioni raziocinanti e si è appagato, da artista, di contemplare. Contemplare con carità... Egli lo sa bene, che i veri cattivi, come Geo, sono pochi ; la società pessima, la epoca pessima, é fatta di persone abbastanza buone, o alla peggio mediocri, se prese ad una ad una, - le quali si trovano a mancare della fede sicura, dei limpidi principi, necessari perché la condotta quotidiana abbia la sua bussola e il suo orientamento.

I loro atti sono sbagliati, le loro vite sono sbagliate; ma in gran parte essi non hanno voluto ciò che hanno fatto, il tempo e la morale pubblica e le colpe altrui hanno deciso per loro, in un intreccio inestricabile. Vita sbagliata quella di Amalietta : e all'origine d'ogni suo errore sta il suo gesto iniziale, quando si diede al Padrone; quando essa era ancora giovinetta, piena di quel suo gran desiderio di giovare ai familiari, incapace di antivedere tutte le conseguenze pericolose, - e manifestamente influenzata dalla famiglia, dal padre. Gente per cui il grande Capitalista era un nome, - una parentela, anche se illegittimissima, con lui non onta ma gloria, - e il Denaro la luce del mondo. Brutta religione dei nuovi tempi, in luogo del vecchio cristianesimo languente! Vita sbagliata quella di Pierino : e non c'è bisogno di un lungo discorso per mostrare quanto su lui pesino e la colpa della madre e l'influenza dell'ambiente familiare. Vero che ha un maestro gesuita, e, in un acceso dibattito, questi fa del suo meglio per allontanarlo dall'estremo e ribelle pessimismo in cui egli sta cadendo. Ma si sa che peso possano avere gli altrui ragionamenti, anche se acuti, di fronte a un dolore proprio, presente concreto e terribile. Pierino ha la sensazione che la sorte sia feroce e lo colpisca a tradimento (e dove si nasconde, allora, la paterna bontà divina?), perché in effetti sinora egli non aveva fatto nulla di male, e si sente, d'improvviso, un innocente oppresso: castigato senza colpa, e nel modo più barbaro. Sono per l'appunto le vicissitudini che possono accadere in un'epoca in crisi : si può essere travolti dalle colpe della propria famiglia, della propria classe, della propria nazione, senza essersi sentiti individualmente colpevoli. E allora, é ben difficile «accettare» ! Vita sbagliata quella di Ameduri : che cosa può riserbargli il futuro, col matrimonio infelice, la madre ridotta a un'ombra e che di continuo gli ricorda il padre morto, dopo aver rinunciato agli studi teorici che tanto lo attraevano, ed essersi buttato nella professione pratica sol per sposarsi presto?

Se, nel caso di Pierino, era quasi inevitabile la sensazione di essere stato irrimediabilmente colpito mentre era innocente, nel caso del giovane Ameduri si verifica l'errore opposto : egli, dopo la morte da padre, si accusa troppo totalmente e indiscriminatamente di averla causata. (Ed é probabile che finirà con l'odiare Liuccia, visto che la sua colpa é di averla sposata a tutti i costi, e in fretta). Ora, se egli avesse una fede e giudicasse chiaramente dal punto di vista di questa fede, anche il suo rimorso e la sua auto-accusa sarebbero più equilibrati. Un «direttore spirituale» gli direbbe: «sì, è stata una grave colpa ingannare i genitori in una materia così delicata e importante, tuttavia può essere una distruttiva forma di orgoglio capovolto l'attribuirsi tutta la responsabilità del male accaduto, anche degli eventi imprevisti e imprevedibili. Tu sapevi che non era certo una criminale, la ragazza che volevi sposare; e non pensavi minimamente che potesse essere un criminale suo fratello, che ancora non ne aveva dato segno. Devi imparare, dall'accaduto, che anche un inganno che par modesto può concorrere a conseguenze tremende; ma non abbattere, annullare te stesso, e le tue future possibilità di operar il bene (e quanto ne può fare, un medico come te ! ), con l'attribuirti una vera e propria responsabilità del male a cui hanno concorso tanti altri, anche del male operato da altri... Un rimorso moderato, proporzionato, ti condurrà ad agir meglio; un rimorso irragionevole ed eccessivo ti condurrà a non agire più, a non voler più, con la forza necessaria, nemmeno il bene...».

Nel disordine interiore derivato dalla mancanza d'una fede articolata e sicura, il buon Ameduri, mentre si strazia per lo spegnersi lento della madre e la fine del padre, non pensa affatto ai doveri che ha, ormai, pur verso la moglie. - La frigidità di Liuccia é un'anomalia, é come una malattia : uno di quegli infelici casi di cui l'Epoca, evidentemente, non ha nessuna colpa. Ma se Ameduri volgesse costruttivamente il rimorso stesso, per il male fatto ai genitori, ad un maggiore impegno di bene pel futuro, non tenterebbe di sostituire la tenerezza al fervore fisico, nei rapporti con quella giovane moglie che lo ha pur scelto e preferito, voluto?... Non ci pensa nemmeno: ed è da credere che quel matrimonio andrà a rotoli completamente, senza che sia avvenuto un serio tentativo di salvarlo. Una delle conseguenze della «crisi religiosa» dell'Epoca è proprio questa: che non si sa sopportare il dolore e se ne é distrutti, o disgregati, mai temprati e rinnovati. Pierino nella guerra cercherà un'occasione di ben morire, e presumibilmente ve la troverà : e così darà ancora una mazzata a quella sua madre che ormai é l'ombra di se stessa ! Ameduri non riesce più a mettere insieme i frantumi della sua vita, e c'è da temere che diventerà negativo anche come medico, oltre che come marito. Amalietta non sa più se non morire lentamente.

Sappiamo che Geo, il più malvagio, é fortunato: l'inchiesta é rimandata a guerra finita, e certo egli non finirà in prigione. Ma ve lo figurate, che straccio diventerebbe se gli si aprissero le patrie galere, come ha meritato, e se proprio il suo delitto portasse fino al Senatore lo scandalo ch'egli voleva occultargli? Non ci sarebbe in lui nulla di Capaneo, per affrontare la catastrofe ! Anch'egli potrebbe soltanto disgregarsi.

Pietà vastissima del Romanziere. Egli capisce e compatisce tutti i dolori e i crucci che contengano ancora qualcosa di umano. La sua arte é umana e lucida, pietosa e pacata. Proprio perché ha saputo con piena spontaneità trasferirsi a volta a volta nel cuore di ciascuno, così come la sua analisi psicologica non è mai artefatta, la sua prosa fluisce con una naturalezza assoluta. I patiti della «prosa d'arte», che assurdamente vorrebbero imporre anche alla narrativa le leggi formali del poema-in-prosa o dell'essay alla inglese, possono trovare questa prosa poco sottile, - poco raffinata. Ma pel narratore la naturalezza é la prima virtù stilistica; e Tolstoi, Dostojewski, Turgheniev, Maupassant, scrivevano con una certa compatta semplicità, adattissima a dar corpo ai loro fantasmi, plasmati di sentimenti precisi, e caratteri scolpiti, ben più che di sensazioni trascoloranti e sfuggenti. Qualche critico ha obiettato al Perri ch'egli non tiene conto di Proust e ritorna ad una superata rappresentazione di modo obbiettivo, diciamo così a tutto tondo, Dio ci guardi dal considerare la rappresentazione «a tutto tondo» come un frutto ottocentesco, ormai corrotto e da buttar via ! E' il modo di rappresentare più frequente e spontaneo nella grande narrativa, questo, e durerà quanto le umane letterature. Nessuno in Italia si é occupato di Proust più di noi, e con più amore ; ma ci parrebbe veramente futile la pretesa di esigere da tutti i narratori, costante ed unico, il procedimento proustiano: di dipingere tutti i personaggi, tranne uno, nel modo in cui li vede quell'uno, variabili, stranamente mutati da periodo a periodo. E'un modo di rappresentare legittimo anche questo ma non implica affatto, come molti critici frettolosi hanno creduto, la dissoluzione del «carattere» dei personaggi. Nella Recherche du temps perdu, in realtà quel Marcel, il personaggio centrale che guarda gli altri, è coerentissimo ed ha un carattere costante, come qualunque personaggio tradizionale: soltanto gli altri mutano stranamente, perché non visti dal di dentro.

Volendo scavare a fondo nella psiche di un unico personaggio, l'assunto estremo (che Proust ha sostenuto in modo luminosamente geniale) é di scrutare, di questo personaggio, non soltanto il modo d'innamorarsi, o di cercare e godere l'Arte, o di sognare, ma anche il modo di vedere gli altri uomini e le loro vicende, facendo, di tutto il mondo che lo circonda, una avventura sua. Ma il Perri si é proposto tutt'altro che lo «scavo» di un unico personaggio, particolarmente affine a sè Autore ; il Perri vuole rappresentare le colpe e i dolori di un'Epoca - tutta un'Epoca , giunta a una radicale crisi religiosa e di coscienza morale : e il grande quadro a molti personaggi - ciascuno esaminato «a tutto tondo», con la piena illusione del vero obbiettivo - costituiva l'unica forma adatta all'assunto suo.

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