La mia vita. Francesco Perri giornalista, scrittore, attivista politico


Cristina Caminiti

Francesco Perri nasce a Careri il 15 luglio 1885 da una famiglia di agricoltori. Dopo le elementari prosegue gli studi fino al IV ginnasio nel seminario vescovile di Gerace. Costretto a interrompere il percorso scolastico a causa della morte del padre, che lo lascia orfano, maggiore di cinque figli, e di una lunga malattia, comincia a sentire dentro di sé il malessere di un giovane le cui ambizioni rischiano di essere spezzate. Dopo le cure del cugino Francesco La Cava, medico condotto di Bovalino e la cui fama si espande per le sue scoperte scientifiche e artistiche, Francesco Perri, fino all’età di diciannove anni, continua a vivere nel paese natio, dove la troppa tranquillità e il lavoro nei campi sembra soffocare le sue aspirazioni. Scrive infatti: “Trascorrevo lunghi pomeriggi nell’orto vicino a casa angosciato, pensando al domani senza sbocco. Temei soprattutto che le scarse risorse della famiglia mi impedissero di proseguire gli studi”.

Tuttavia la vita del giovane Perri ha una svolta grazie all’aiuto di un influente amico di famiglia che gli procura un posto di istitutore all’orfanotrofio Lanza di Reggio Calabria. Ed è grazie ai guadagni del nuovo lavoro che Perri riesce a conseguire da privatista gli esami ginnasiali presso il liceo classico Tommaso Campanella.

Reggio Calabria diviene, durante quegli anni, il primo elemento di confronto tra il mondo rurale di Careri, “dove le grondaie delle case si toccavano con le mani”, dove il lavoro “era quello duro e uniforme dei campi” e il mondo “degli studi, dei teatri, dei progressi intellettuali, degli uffici che regolano la vita civile, dove si impara e si arriva”, con “la doppia fila di palazzi signorili, le splendide vetrine, i caffè, i grandi portoni dall’arco di pietra bugnata”.

Nella grande città Perri entra in contatto con altri giovani intellettuali come Sardiello, Priolo e Gerace facendosi notare per la pubblicazione sul periodico L’Ellade Italica di dodici sonetti esaltanti l’impresa garibaldina, alcune liriche e uno scritto paesaggistico, Guardando l’Etna da una collina sulla via di Reggio Campi, ispiratogli dal libro di Angelo Conti, il quale, illustrando le bellezze naturali delle regioni italiane, non aveva fatto menzione della Calabria.

Nel 1908 lascia Reggio e si reca a Fossano, piccola cittadina del Piemonte, per lavorare nelle Poste. Il suo sogno di completare gli studi si realizza conseguendo la maturità classica a Mondovi e laureandosi in Giurisprudenza all’Università di Torino.

Due anni più tardi, sotto lo pseudonimo di Ferruccio Pandora, inizia la sua attività letteraria. Pubblica così i Primi Canti, una raccolta di 54 componimenti – sonetti, liriche e canzoni – in cui tratta temi sociali e civili e che riprenderà nelle opere della maturità.

Nel 1913 pubblica Gli Angeli, poemetto che rievoca il mondo innocente sotto la protezione dell’angelo custode, concesso dal Cielo ad ogni uomo in terra e trattando anche qui tematiche della vita semplice come la madia[1] e il focolare.

Partecipa come volontario alla Prima Guerra Mondiale, unendosi alla convinzione di molti intellettuali del tempo, che tale sacrificio fosse necessario per una rigenerazione politica e morale della nazione e del mondo. Da questa esperienza nasce il poemetto Raspodia di Caporetto (1919) nel quale racconta la disfatta dell’esercito italiano nel ’17. L’opera fu molto apprezzata, specialmente da Benedetto Croce, il quale in una lettera indirizzata a Perri, scrive: «È tanta la commozione con cui ho letto le sue sincerissime pagine che vorrei pregarla di permettermi di conservare il suo manoscritto per unirlo ad altro ricordo che ho raccolto di questa nostra grande guerra.»

Terminata la guerra e sposato con figli, Perri torna al suo impiego nell’amministrazione postale. Nel 1920 a Careri, durante una visita a sua madre, partecipa attivamente alla battaglia per la rivendicazione delle terre demaniali. Sono gli anni in cui il fascismo inizia a farsi strada e gli anni dei disordini sociali, i contadini muoiono di fame e di miseria, mentre i proprietari terrieri continuano lo sfruttamento della manodopera arricchendosi le tasche. In qualità di presidente del Comitato esecutivo, Perri denuncia le violenze esercitate sui contadini e, con una delegazione si reca a Reggio Calabria per far rispettare l’accordo tra proprietari terrieri e contadini. Al ritorno però rischia la prigione, che evita grazie all’intervento del medico condotto del paese il quale convince il maresciallo dei carabinieri a desistere dal suo intento. Tuttavia quel suo intervento gli consta una condanna di due mesi e una multa di seimila lire.

Nel 1921 collabora con La Voce Repubblicana sotto gli pseudonimi di Paolo Albatrelli e Pan e attraverso i quali conduce un’attiva battaglia per la libertà.  Tra il 1921 e il 1922 Perri assiste alla concreta realizzazione del Fascismo del quale rimane atterrito tanto da rappresentare la storia di quegli anni in una delle sue maggiori opere, I conquistatori, uscito in un primo momento a puntante su La Voce Repubblicana per poi essere edito, nel 1925, in un unico volume sotto lo pseudonimo di Paolo Albatrelli. Il libro è oggetto di pesanti attacchi da parte della stampa fascista, tanto che l’anno successivo viene sequestrato e dato alle fiamme. Da questo istante inizia per Francesco Perri una lunga odissea, tanto da essere licenziato dal lavoro per questioni politiche e, più avanti, si aggiungerà la disdetta dei contratti con Gazzetta del Sud, Il Giornale d’Italia e Il resto del Carlino.

Messa al bando anche la sua attività giornalistica, Perri partecipa al concorso del 1927 dell’Accademia Mondandori, ottenendo la vittoria con il romanzo Emigranti in cui descrive il fascino della sua terra e il dolore della gente costretta ad abbandonarla per vivere. Il romanzo ottiene il favore della critica, ma la  Gioventù fascista continua a condannarlo qualificandolo “uomo ben noto a noi e alla pubblica sicurezza”.

Di tre anni più tardi è invece Leggende Calabresi – ampliato nel 1940 in Racconti d’Aspromonte – una raccolta di leggende popolari rielaborate con stile e forme proprie e in cui sono raffigurati gli usi e i costumi della Calabria.

Escluso dai giornali, Perri pubblica sulle riviste Rizzoli, La Domenica del Corriere e Il Corriere dei Piccoli - con gli pseudonimi Ariel e Nepos, con grave rischio dei direttori Franco Bianchi ed Eligio Possenti. Nel 1932 è arrestato con l’accusa di mantenere contatti con il gruppo Giustizia e Libertà e rimane in carcere per quaranta giorni. Gli anni che seguono sono sempre più difficili, Perri deve mantenere una famiglia e quindi  si getta a capofitto nel genere del romanzo rosa, pubblicando Povero cuore, L’idolo che torna, La missione del Redentore, ma sorridendo amaramente ogniqualvolta gli si ricorda la commozione provata per la storia di Ninì, protagonista di Povero cuore.

La svolta arriva con la scuola e con la narrativa per ragazzi. Per l’istituzione tanto amata Perri pubblica il Dizionario di mitologia classica, Favola bella e Storia del lupo Kola in cui si intrecciano tradizione, favola e la natura d’Aspromonte.

Collabora inoltre alla biblioteca per ragazzi, Scala d’oro, diretta da Vincenzo Errante e Ferdinando Palazzi per l’UTET, traduce e rielabora diverse opere della letteratura di tutti i tempi. In questo periodo scrive Come di lavora nel mondo, una raccolta di aneddoti sul lavoro contadino, artigianale e industriale.

Nel 1940 pubblica Il discepolo ignoto, ispirato dal Vangelo di Marco. Ambientato nel periodo di Cristo, il romanzo vuole essere una condanna alla violenza dell’uomo sull’uomo, la stessa che di lì a poco sarebbe esplosa nella Seconda Guerra Mondiale.

Durante la guerra la sua casa a Milano viene distrutta dai bombardamenti tanto da causargli la perdita di numerosi libri e manoscritti delle sue opere.

Nel ’45 è chiamato dal P.R.I per dirigere a Genova Il Tribuno del popolo e nei primi sei mesi dell’anno successivo si vede impegnato nella campagna elettorale per il referendum costituzionale. In quel periodo diviene direttore anche de La Voce Repubblicana. Candidato dal partito per la Costituente non vince per pochi voti. Della politica scrive: “La politica uccide gli uomini che l’amano, proprio nell’istante in cui concede il suo amplesso.” (I conquistatori).

Partecipa tuttavia alla politica trattando con schiettezza i delicati temi sociali del divorzio, il regionalismo, la scuola.

Su Il Gazzettino di Venezia, nel 1967, denuncia i fenomeni della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra, che si stavano facendo largo nelle città industriali, e tratta temi quali l’emarginazione e il sottosviluppo. Contrario a qualsiasi forma di autocommiserazione, scrive: È inutile recriminare; agire bisogna, perché si faccia noi quello che non sanno e che non possono fare gli istituti politici. Le geremiade intorno alla miseria del Mezzogiorno finiscono per assomigliare alle proteste dei poltroni contro il destino.” (La Voce Repubblicana, 2 marzo 1921).

Nonostante ciò il suo cuore appartiene alla Calabria e, durante gli anni Sessanta, ritornato in meridione, rimane sorpreso del nuovo benessere, sebbene ciò che lo continua a preoccupare sono le strutture economiche e produttive mai modificate e che mettono a rischio la capacità di sfruttare le risorse naturali e il ritmo produttivo. Ancora su Il Gazzettino di Venezia scrive: “Il Mezzogiorno è la terra dei contrasti, delle anomalie, delle grandi virtù insieme alle grandi debolezze. Ha dato al Paese alcune fra le più eminenti personalità nel campo dell’arte, del diritto, delle scienze esatte, ma non è mai riuscita ad esprimere una classe dirigente attiva, di vedute moderne e progressiste”.

Già settantenne, tra il 1958 e il 1960, pubblica due libri per ragazzi, ovvero Fra Diavolo e Nel Paese dell’ulivo, raccolta di leggende della mitologia classica rinarrata ai ragazzi.

L’ultimo suo romanzo, L’amante di zia Amalietta, tradotto in lingua francese, ottiene il Premio “Villa San Giovanni” nel 1966. Il romanzo raffigura il tormento della giovane società lombarda alla vigilia dell’ultima guerra mondiale, società in cui il dramma è vivere nella menzogna senza via d’uscita.

Tra gli inediti si ricordano Il diario o taccuino di un solitario, Gregorio VII, dramma storico in cinque atti che mette in risalto la grandezza e la debolezza del potere temporale e Il puro folle, romanzo incompiuto dove il protagonista.

Francesco Perri muore a Pavia il 9 dicembre 1974. Le sue spoglie, per sua espressa volontà, riposano a Careri, suo paese natale, dove per tutta la vita sognò di costruirsi una casetta sulle colline che guardano lo Jonio tra Punta Zeffirio e punta Stilo.



[1] mobile in legno a sponde alte che si usava per impastare il pane casereccio o per custodirvi lievito e farina.




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